Uno degli antenati delle memorie odierne, è senza dubbio il Tubo di Williams-Kilburn.
Quando parliamo di architettura hardware dei calcolatori dei giorni nostri, siamo abituati ormai ad avere a che fare con memorie dotate di performance elevatissime, velocità di lettura e scrittura che fino a qualche anno fa sarebbero state degne del miglior film di fantascienza, tuttavia sarebbe sempre opportuno chiedersi da dove si sia partiti per raggiungere performance così elevate e che sono destinate ad aumentare ancora.
È il 1948 quando la Victoria University di Manchester (UK), è al lavoro per sviluppare il primo programma elettronico da far girare sull’innovativa SSEM, acronimo di “Small-Scale Experimental Machine” o, se preferite, “Manchester Baby“. Se vi state chiedendo perché ci teniamo a nominare il “bimbo di Manchester”, sappiate che si tratta del primo calcolatore elettronico a programma memorizzato della storia e il primo computer basato sull’architettura di Von Neumann.
La caratteristica fondamentale di questo calcolatore, è la memoria basata sul tubo di Williams-Kilburn, inventato da Freddie Williams e Tom Kilburn a cavallo del ’46-’47 espressamente per il SSEM. Il funzionamento di questo dispositivo è relativamente semplice ed è molto simile al funzionamento dei raggi catodici: creando un punto luminoso sullo schermo di un tubo a raggi catodici, il punto permane sullo schermo per un tempo superiore al tempo di generazione del segnale che lo ha originato, a causa della presenza di fosfori (dal greco phosphoros, “portatore di luce”) che, in combinazione con l’ossigeno, emettono luminescenza.
Iniziamo subito col dire che la presenza di fosfori è una condizione non necessaria e non sufficiente al funzionamento del tubo di Williams-Kilburn, pertanto il principio di funzionamento è simile ma non uguale al tubo catodico; per meglio comprenderlo, occorre introdurre e spiegare il fenomeno della cosiddetta “emissione secondaria“.
L’emissione secondaria è una tipologia di emissione elettronica in cui l’eccitazione è formata da un elettrone di energia pari a (100-1000 eV) che, una volta penetrato nel materiale, produce elettroni secondari ad energia sufficiente per l’emissione nelle immediate vicinanze della superficie, grazie al fenomeno della ionizzazione. A causa di queste emissioni secondarie di elettroni, l’area soggetta a irraggiamento cambia polarità diventando positiva, mentre l’area circostante diventa negativa. In questo modo, grazie ad una piastra esterna è possibile “leggere” la variazione di polarità quando il raggio illumina nuovamente il punto. Si consideri che la lettura è distruttiva, nel senso che leggendo l’informazione la si cancella irrimediabilmente. Uno dei problemi principali di questa tecnica, è dato dalla necessità di dover riscrivere periodicamente i punti, perché la polarità decade dopo un certo periodo di tempo.
Analizzando il funzionamento del tubo Williams-Kilburn, si nota immediatamente che non ha parti meccaniche in movimento, cosa che lo rendeva molto veloce rispetto ai meccanismi di memorizzazione degli anni ’40. I tagli di un singolo tubo potevano variare da un minimo di 512 bit ad un massimo di 1 kilobit, dati che ai giorni nostri paiono sconcertanti, ma che per l’epoca rappresentavano un deciso passo avanti. La loro dismissione venne accelerata dalla poca affidabilità in presenza del passare del tempo e dalla continua taratura di cui avevano bisogno per essere precisi. Nonostante la loro poca semplicità di utilizzo e gestione, permisero la memorizzazione del primo programma elettronico composto da 17 linee che calcolava il massimo fattore di un numero.